
Ci sono viaggi che scegli. E poi ci sono viaggi che ti scelgono. Il mio sulla Costiera Amalfitana è stato uno di quelli. Non lo avevo pianificato da mesi, non avevo nemmeno tracciato un itinerario preciso. Sapevo solo che avevo bisogno di andare. Di vedere il mare. Di perdermi tra curve e silenzi, tra vento e luce. Non sapevo ancora che avrei trovato molto più di una vacanza: avrei trovato una parte di me che avevo dimenticato.
Sono arrivato in un pomeriggio di primavera inoltrata. Il sole cominciava a scendere ma non mollava ancora la sua presa calda sulle case colorate, aggrappate alla roccia come se volessero non cadere mai. La strada che da Sorrento si srotola fino ad Amalfi è un filo sottile sospeso tra cielo e mare. Ogni curva è un respiro, ogni scorcio una cartolina che nessuna foto potrà restituire davvero.
Il primo impatto l’ho avuto con Positano. L’ho visto dall’alto, scendendo piano, con il cuore che batteva più forte ad ogni metro. Sapevo che era bello, lo avevo visto mille volte in foto. Ma vederlo apparire così, come un sogno che si fa carne e colore, mi ha lasciato senza parole. Le case pastello, i balconi fioriti, le scale che scendono ripide verso il mare… era come essere dentro una poesia.
Positano non si visita. Si vive. Si ascolta. Si respira. Ho camminato per ore senza meta, lasciandomi guidare dai profumi: limone, mare, pane caldo. Mi sono fermato in una bottega a parlare con un artigiano che dipingeva a mano piastrelle di ceramica: “Ogni pezzo è diverso, come le giornate”, mi ha detto. E mi è sembrata una delle frasi più vere che avessi mai sentito.
Ho dormito in una stanza con una terrazza affacciata sul blu. Quella notte non ho chiuso occhio. C’era troppo da sentire: il suono lieve delle onde, le risate lontane dalla spiaggia, il vento che entrava piano dalle persiane aperte. E dentro di me, una voce che non taceva: “Resta ancora un po’. Guardati. Ritrovati.”
Il giorno dopo ho preso un traghetto per Amalfi. Vedere la costa dal mare è come leggere un libro al contrario: ti rendi conto della bellezza che hai già attraversato. Le scogliere che si tuffano nell’acqua, le torri di guardia solitarie, i borghi arrampicati come se volessero toccare il cielo. Ad Amalfi ho camminato tra le vie strette del centro, mi sono seduto sui gradini del Duomo con un gelato al limone in mano e ho guardato la gente passare. Turisti, anziani del posto, bambini con lo zaino che correvano senza scarpe. Tutto sembrava parte di un’armonia silenziosa, che non chiedeva nulla.
E poi Ravello. Se Positano è il cuore, Ravello è l’anima. Arrivare lassù, tra il profumo dei giardini e il silenzio delle alture, è stato come salire dentro me stesso. Villa Rufolo, Villa Cimbrone… ho camminato in mezzo a terrazze sospese sul mare, con una vista così vasta da farmi venire le lacrime agli occhi. Mi sono seduto su una panchina nel Giardino dell’Infinito e ho pensato a tutto quello che avevo lasciato indietro. Ai giorni in cui mi ero dimenticato di ascoltarmi. Alle volte in cui avevo camminato senza vedere. Lì, in quel silenzio denso, mi sono promesso che non avrei più dato nulla per scontato.
Le sere sulla Costiera hanno una magia tutta loro. Il cielo si accende di arancio e poi si spegne lentamente in un blu profondo, quasi sacro. Le luci dei paesi si riflettono sull’acqua come stelle scivolate giù. Ogni cena all’aperto è un rito: i sapori, i racconti, il vino locale che scalda il cuore. Una sera a Praiano ho cenato da solo, guardando il mare, e mi sono sentito incredibilmente completo. Come se tutto fosse al suo posto. Come se niente mancasse.
Ogni giorno era una scoperta: una chiesa nascosta, una scaletta che portava a una caletta segreta, un limoneto profumato inaspettato. Ogni passo era un invito a rallentare, a guardare meglio, a lasciarsi stupire. Anche la fatica delle salite diventava parte del viaggio. Come se il corpo, nel suo movimento lento, aiutasse l’anima a tornare presente.
Quando è arrivato il giorno della partenza, ho sentito un nodo. Non solo perché stavo lasciando un luogo meraviglioso. Ma perché sapevo che quel luogo aveva smosso qualcosa dentro di me. Aveva fatto crollare alcune certezze, e aperto spazi nuovi. Mi aveva insegnato che la bellezza, quella vera, non è solo nei panorami. È nel modo in cui ti cambia. È nel modo in cui ti fa sentire.
La Costiera Amalfitana non è un viaggio. È una carezza che ti resta addosso. È una poesia che si scrive da sola, dentro di te. È un richiamo che senti ancora, settimane, mesi dopo, quando la vita torna a correre e tu chiudi gli occhi e vorresti solo risentire quel vento.
Sono partito con il desiderio di perdermi. Sono tornato con un pezzo di anima in più.