
Giovanni aveva appena compiuto trent’anni quando decise che era arrivato il momento di cambiare vita. Era cresciuto in un piccolo paese della Basilicata, incastonato tra le colline e il silenzio, dove il tempo sembrava non scorrere mai davvero. Lavorava con suo padre nella piccola officina di famiglia, sistemando vecchie auto e trattori. Ma ogni sera, quando tornava a casa e si sedeva davanti al televisore spento, un pensiero tornava sempre: “Non può finire tutto qui.”
Fu così che una mattina di gennaio, con due valigie, un po’ di risparmi e un misto di paura e speranza nel cuore, Giovanni prese un volo per Berlino. La Germania non era solo una terra lontana: era la possibilitĂ concreta di un futuro diverso, di un’opportunitĂ .
I primi mesi furono duri. Giovanni non parlava bene il tedesco, si sentiva solo, fuori posto. Trovò un lavoro come lavapiatti in un ristorante italiano, poi come magazziniere in un’azienda di logistica. Ma non si arrese. La sera studiava la lingua, e nei fine settimana girava la città , cercando di capirla, di farsela amica.
Un giorno, quasi per caso, parlando con un collega durante una pausa, seppe che una piccola ditta di riparazioni meccaniche stava cercando personale. Si presentò con il suo curriculum semplice, ma con una determinazione che colpì il titolare, un uomo di mezza età con la barba grigia e lo sguardo severo. Lo assunse.
Nel tempo, Giovanni divenne una figura chiave dell’officina. Portò idee nuove, un modo tutto italiano di risolvere i problemi con creatività e pazienza. I clienti lo rispettavano, e i colleghi iniziarono a considerarlo uno di loro. Aprì persino un piccolo canale YouTube, dove spiegava in tedesco e in italiano come fare piccole riparazioni fai-da-te. Il canale esplose in popolarità .
Dieci anni dopo, Giovanni non era più il ragazzo con la valigia piena di sogni e il cuore pieno di dubbi. Era diventato imprenditore: aveva aperto una sua officina, con dipendenti italiani, tedeschi, e anche alcuni rifugiati a cui offriva un’opportunità , proprio come un tempo era stata offerta a lui.
Un pomeriggio d’autunno, tornando da lavoro, Giovanni si fermò davanti a uno dei tanti caffè di Kreuzberg. Il cielo era grigio, ma l’aria aveva un odore familiare. Scrutò il suo riflesso nella vetrina: c’erano più rughe, certo, ma anche una luce nuova negli occhi. Pensò alla Basilicata, a suo padre ormai in pensione, al silenzio delle colline.
Quel giorno capì che non si era solo trasferito in Germania. Si era costruito una nuova casa, e forse — senza accorgersene — una nuova patria. Non aveva trovato la fortuna nel senso classico del termine. Aveva trovato di meglio: il senso del suo viaggio.
E la cosa piĂą bella era che il viaggio, in fondo, non era ancora finito.