di Oronzo Candela

Spesso si dice che un Paese innovativo è un Paese che investe nel futuro. Ma cosa significa davvero “investire nel futuro”? Misurare la capacità innovativa di una nazione non significa solo contare quanti brevetti produce o far sfoggiare una tecnologia. La metrica regina resta da sempre la spesa in R&S (Ricerca & Sviluppo): il cosiddetto R&D intensity, ovvero l’investimento in R&S rapportato al PIL. È un termometro potente — ancora oggi, la nostra Italia sfora sotto la soglia di un punto critico: nel 2022 fattura appena l’1,33 % del PIL in R&S, contro una media europea intorno al 2,2‑2,3 % .

E per rendere l’idea di come si “spendono” i nostri soldi pubblici, si pensi al Superbonus edilizio o all’aumento programmato della spesa militare… Ma se investiamo 27 miliardi in difesa al 5 % del PIL, lasciamo magari solo 13 miliardi per scienza e futuro. Un ragionamento cinico? Forse, ma realistico.


1. Cos’è (e come si calcola) la capacità innovativa

  1. R&D Intensity: il parametro più usato— vale a dire R&S / PIL. Per la UE, resta sotto il target del 3 % . Nel 2023 la media UE è circa 2,22 %, mentre la top‑5 mondiale supera il 3 % e la Corea il 4,8 % (ec.europa.eu).
  2. Spesa pubblica vs privata: l’investimento in R&S viene da imprese e Stato. In Italia, nel 2022, governo e imprese insieme stanziano appena 1,33 % del PIL; la sola parte pubblica vale poco più di 0,07 % per sgravi fiscali e 0,5 % per finanziamenti diretti . In Germania o Francia siamo 1,8‑2 punti percentuali davanti.
  3. Risultati in innovazione: brevetti, pubblicazioni scientifiche, spin‑off universitari. L’indice globale dell’Innovation Index 2024 classifica l’Italia al 26° posto (it.wikipedia.org, en.wikipedia.org); in controtendenza rispetto al glorioso passato.
  4. Cluster e distribuzione territoriale: in Italia, le risorse spettano a pochi poli geografici – Trentino, Milano, Bologna, Pisa – lasciando Sud e centro a investimenti modesti . Per il futuro, la crescita nazionale richiederebbe un’autostrada innovativa diffusa tra Nord e Sud.
  5. Output qualitativi e network: la qualità delle pubblicazioni, la collaborazione con Paesi avanzati, le startup di successo, l’acquisizione di capitale. Da questo punto di vista l’Italia è presente, ma raramente centro della ricerca (ad esempio, ENEA, INFN e CNR funzionano, ma soffrono di risorse croniche) .

2. L’Italia è davvero fanalino di coda? Numeri alla mano

Il nostro 1,33 % del PIL in R&S ci colloca tra gli ultimi d’Europa, lontano dal 2,2 % medio UE e sprofondati rispetto a Germania (3,14 %), Francia (2,22 %) o paesi scandinavi . Come emerge da Eurostat, l’Italia è in fondo anche nella graduatoria regionale: quasi nessuna regione supera l’1,5 % del PIL; al contrario, in Belgio o Germania si sfiorano punte fino al 3,5 % (it.wikipedia.org).

Se misuriamo i conti in miliardi, nel 2022 spesi circa 27 miliardi di euro in R&S (1,33 % di un PIL di 2.000 miliardi), mentre solo il Superbonus ha pesato tra 160 e 220 miliardi in costi pubblici, vale a dire oltre 6‑8 volte tanto (karlsnotes.com).


3. Polti piagnistei, spese militari e priorità distorte

3.1 L’obiettivo del 5 % per le spese militari

L’Europa discute (a ragione o torto) di aumentare la spesa militare al 2 % del PIL. Ma parlare di 5 % (come proposto da alcune nazioni NATO) è una follia: in Italia significherebbe raddoppiare la spesa totale, togliendo risorse fondamentali ad altre priorità come sanità, scuola, transizione ambientale e – appunto – innovazione scientifica.

Confronto reale:

  • R&S: 1,33 % (~27 mld)
  • Militare (ipotetico al 5 %): 100 mld – quasi 4 volte la spesa in scienza.

3.2 Il Superbonus: un bolide senza freni

Nato come incentivo per rilancio edilizio e transizione green, il Superbonus è diventato un incubo fiscale. Progettato inizialmente per costare 35 mld, ha toccato i 160 mld (solo R&S) nel 2023; considerando bonus facciate e altri, addirittura 220 mld .

Impatti concreti:

  • Inflazione edilizia: metà del boom dei prezzi 2021‑2023 solo perché con‑pagare il Superbonus .
  • Squilibri fiscali: € costi riequilibrati dal deficit, +1‑4 % del PIL annuo .
  • Finanziamenti misti: la Corte dei Conti lo ha definito “distorsivo sul mercato”, e nel 2023 il parlamento ha ridotto le aliquote (it.wikipedia.org).

Ma troviamo i limiti nelle priorità: se stiamo regalando soldi come coriandoli all’edilizia, perché la scienza dovrebbe lamentarsi se non ha da mangiare?


4. Effetti perversi: innovazione provinciale vs edilizia generica

Se investiamo meno in ricerca, l’effetto non resta circolazione interna: è decadimento strutturale. L’Italia perde ricercatori, stupisce solo se sopperisce con qualche mega‑infrastruttura – ma resta sfavorita nel lungo termine.

Contrastiamo l’ipotetico mondo virtuoso: cosa accadrebbe se spostassimo anche solo 10 mld dal Superbonus alla R&S? Con 37 mld totali, saremmo al 1,5 % del PIL – ancora sotto la media, ma in crescita. Un rilancio della competitività possibile con riforme fiscali dedicate e premialità per i progetti scientifici.


5. Proposte per invertire la rotta

5.1 Stabilità e ambizione negli investimenti in R&S

Nessuno punta al 5 % come Israele, ma puntiamo ad almeno 2 % del PIL entro il 2030, con percorso graduale (+0,1 % ogni due anni). Lo Stato deve garantire finanziamenti a strutture pubbliche e private, con controlli su efficacia e valutazioni misurabili.

5.2 Incentivi fiscali ad alto impatto

Gli sgravi fiscali vanno sbloccati: oggi valgono solo lo 0,07 % del PIL, contro lo 0,5 % in paesi come Francia e Regno Unito . Estenderli e semplificarli è crucial.

5.3 Distribuzione territoriale pigliatutto

R&S in Italia è concentrata nel Nord. Serve una rete nazionale che rafforzi università e centri di ricerca del Sud, diffondendo i benefici su larga scala.

5.4 Valutazione rigorosa delle misure edilizie

Un Superbonus ben fatto sì, ma con tetti, verifiche, requisiti ISEE/ambientali chiari – se non si controlla, si regala come fosse acqua a una piantagione di soldi.


6. Conclusione polemica e pragmatica

La vera capacità innovativa di una nazione non si misura in bandi, sorrisi di ministri o slogan da campagna elettorale. Si misura in numeri: R&S / PIL; infrastrutture scientifiche attive; qualità dei risultati. Quel 27 miliardi in R&S servono per costruire un futuro – e andrebbero difesi dai lampi di politica pop come il Superbonus o rincorse belliche senza senso. L’Italia merita una strategia di lungo termine, pragmatica e ambiziosa: senza scuse, senza voragini fiscali, senza tirare la corda dei bonus inutili.


Bibliografia

  • Eurostat, “Gross domestic expenditure on research and development, 2023”(ec.europa.eu).
  • Banca d’Italia, “Business incentives for research and innovation”, Relazione 2023(bancaditalia.it).
  • TheGlobalEconomy.com, “Italy: Research and development expenditure, percent of GDP” (2021)(theglobaleconomy.com).
  • Wikipedia, “Ricerca e sviluppo” (dati Unesco 2021)(it.wikipedia.org).
  • Wikipedia, “Superbonus 110%” (aggiornamento aprile 2024)(it.wikipedia.org).
  • CEPR VoxEU, “The impact of the Superbonus on Italian construction costs”(cepr.org).
  • Karl’s Notes, “Italy’s Superbonus: Good Intentions Meet Poor Fiscal Planning”(karlsnotes.com).
  • Banca d’Italia, “The role of the Superbonus in the growth of Italian construction costs” (Paper 903)(bancaditalia.it).
  • Wikipedia, “Science and technology in Italy” (Innovation Index)(en.wikipedia.org).

In conclusione, valutare la capacità innovativa di una nazione è un mix di numeri, visione strategica e uso responsabile delle risorse. All’Italia serve una scossa: non solo in R&S, ma nella politica che decide chi va spinto verso il futuro e chi invece gonfia in bolla un mattone che non dura. Il tempo delle parole è finito, si passi ai fatti – con serietà.